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Pesca eco-sostenibile…una norma per il mercato ittico!

Oggi, per far fronte alle sfide che il mercato presenta, i fornitori della filiera ittica possono finalmente avvalersi di uno strumento capace di attrarre i consumatori sempre più sensibili alle tematiche ambientali e rafforzare il mercato in una prospettiva ecosostenibile. Si tratta della norma ISO 22948:2020, pubblicata lo scorso dicembre, dal titolo “Carbon footprint for seafood – Product category rules (CFP – PCR) for finfish”, che si applica sia ai prodotti della pesca che a quelli dell’acquacultura.

Nel documento vengono specificate le Regole di Categoria del Prodotto (PCR), necessarie alle stime di calcolo per l’impronta di carbonio (CFP) nei prodotti ittici, così come riportato nella norma UNI EN ISO 14067:2018 “Gas ad effetto serra – Impronta climatica dei prodotti (Carbon footprint dei prodotti) – Requisiti e linee guida per la quantificazione”; documento che tratta soltanto una singola categoria di impatto: il cambiamento climatico.

La compensazione delle emissioni di carbonio e la comunicazione delle informazioni relative a CFP sono al di fuori dello scopo e campo di applicazione di tale documento.

Tale attenzione al mercato produrrà un migliore contenimento dell’impatto ambientale per questa specifica tipologia di prodotti, riducendone i consumi incontrollati e accrescendo la richiesta da parte dei consumatori.

Dai governi e dalle imprese, a milioni di studenti aderenti agli scioperi di Fridays for Future: la tematica di come condurre una vita più sostenibile è diventata la più rilevante e la più discussa in tutta la società. Ma cosa ne pensano i consumatori? Le loro abitudini e azioni riflettono le loro percezioni?

Dando uno sguardo alle ultime indagini sul campo, emerge una sempre maggiore focalizzazione dei consumatori finali sui comportamenti responsabili da adottare per ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici; e ciò si traduce, per ciò che riguarda l’acquisto dei prodotti agroalimentari, in una sempre più pressante aspettativa di ritrovare nei supermercati e nei ristoranti prodotti che possano dimostrare attenzione relativamente alla sostenibilità ambientale.

L’introduzione di strumenti che possano misurare tale impatto, diventano strategicamente importanti per tutti gli attori della filiera agroalimentare al fine di assecondare tali aspettative.

A tal proposito, la “carbon footprint” (letteralmente, “impronta di carbonio”), è un parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente (ovvero prendendo come riferimento per tutti i gas serra l’effetto associato alla CO2, assunto pari a 1).

Secondo le indicazioni del Protocollo di Kyoto, i gas serra che devono essere presi in considerazione sono: anidride carbonica (CO2, da cui il nome “carbon footprint”), metano (CH4), ossido nitroso (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) e esafloruro di zolfo (SF6). Tale parametro può essere utilizzato per la determinazione degli impatti ambientali che le emissioni hanno sui cambiamenti climatici di origine antropica.

Il calcolo della carbon footprint di prodotto (CFP) comprende la quantificazione di tutte le emissioni di gas ad effetto serra (GHG) lungo tutto il ciclo di vita del prodotto (from cradle to grave).

Da uno studio quantitativo pubblicato nel 2020, che ha coinvolto 12.000 utenti Internet di tutto il mondo; è emerso come l’interesse verso i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale è cresciuto, dal 13% degli intervistati al 50%. (“Consumatori, sostenibilità e ICT” del ConsumerLab di Ericsson)

Tale interesse si riflette in tutti gli aspetti del vivere quotidiano e, naturalmente, sulle scelte legate agli acquisti nel mercato dell’agroalimentare che, in Italia soprattutto, significa scelte legate al mercato ittico.

Relativamente al consumo di prodotti ittici, il 95% degli italiani sono consumatori abituali, soprattutto al Sud e nelle Isole (97%) seguiti da Nord Est e Centro (entrambi 94%) e Nord Ovest (93%), mentre, il dato interessante è che il 44% dei consumatori possono essere identificati come “seafood lovers”. Questo dato pone il nostro paese ai primi posti come percentuale di appassionati di prodotti ittici, seguiti da Francia e Svezia e ben distanti dalla media globale (34% seafood lovers).

I consumatori italiani sono sensibili alla sostenibilità prima di tutto in termini di rispetto dell’ambiente, e soprattutto in relazione all’inquinamento. (https://www.msc.org/it/media-center/comunicati-stampa/comunicato-stampa/italiani-seafood-lovers-ma-attenti-alla-sostenibilità)

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